Inclusione o integrazione?

Inclusione: Il significato vero

Non è solo una questione lessicale. Le parole hanno un valore e dietro ciascuna c’è un significato. I BES stanno capovolgendo il senso delle parole.

In Italia, oramai, da quando si parla di “Bisogni Educativi Speciali”, si parla anche di “inclusione”: la scuola dei BES è scuola inclusiva, fa didattica inclusiva, buona prassi inclusiva…
Il termine “inclusione” è stato così venduto dal Ministero, autore della… geniale pensata dei BES, come valore aggiunto ad essa.
Apprendiamo che tutto ciò deriva da un dibattito internazionale sulla “Good pedagogy- Inclusive pedagogy”.
Prima di ciò, a scuola si parlava di integrazione dei soggetti in difficoltà.
Oggi, il termine “inclusione” si è sostituito al termine “integrazione”, perché il primo rappresenta l’ultima moda, propagandata dal MIUR in ogni occasione.
Che ci sia stata una discussione pedagogica sui termini “inclusione” e “integrazione” è certo cosa buona; che in Italia ci si appiattisca sulla terminologia inglese quando ci si riferisce ad una “Inclusive pedagogy”, no.
Questo è stato fatto, per esempio, a proposito dei famigerati “Special Needs”, che in Italia hanno prodotto i BES.

Inclusione e integrazione : Il significato

E l’uso “nuovo” del termine “inclusione” è… invalso dopo la diffusione dell’idea BES. Se si riconosce in essa una vera aberrazione culturale e pedagogica, si conclude che non è tutto oro quello che luce nel mondo anglofono. Tutt’altro: sono in molti ormai a sospettare che quando si usa l’inglese c’è una fregatura dietro l’angolo. Ma questo, si dirà, è mero pregiudizio.
Perciò riconosciamo che nella lingua inglese i termini “inclusion” ed “integration” hanno certamente significati diversi dai corrispondenti vocaboli italiani.
E certo, un anglofono non può sapere che gap semantico esiste in italiano tra “inclusione” e “integrazione”. Ma noi sì.
Andiamo alle parole, allora, della lingua italiana, che è quella che parliamo. Ma prima passiamo dal suo progenitore: il latino.
Sallustio fa dire a Catone Uticense “vera vocabula rerum amisimus”: abbiamo perso il vero nome delle cose. Catone nota un’adulterazione del linguaggio; ce l’ha con Cesare, che capovolge i significati originali delle parole e chiede di ristabilire un nesso tra significato e significante. Storia vecchia?
Non tanto, se andiamo a vedere il buon vecchio Devoto-Oli: “Includere = inserire, mettere dentro”.
“Integrare = rendere completo dal punto di vista sia quantitativo che qualitativo”.
Che sia un passo in avanti la transizione dalla pedagogia dell’integrazione a quella dell’inclusione è un capovolgimento semantico. Almeno qui in Italia, anche se lo dicono i parlanti inglese.
Davvero “includere”, cioè “metter dentro”, “inserire” è meglio di “integrare”, cioè rendere unito ciò che rappresenta una unità?
L’idea di accompagnare la collettività scolastica a raggiungere la sua unità con l’integrazione di tutti, anche di coloro che appaiono maggiormente in difficoltà, è di rango superiore a quella del mero “inserimento”.
Ora, non si vuole qui far la guerra contro il concetto di inclusione. Includere è il contrario di escludere: e qui non ci piove.
Ma negare che il significato di integrare sia, nella parola stessa, più evoluto di includere vuol dire fare la stessa operazione di cui dà conto Sallustio. Storia e semantica non ringraziano.
Uno dei motivi per cui l’idea stessa dei BES è da rigettare si trova nella considerazione che i “bisogni” sono spesso leggibili come negazione dei diritti: un disoccupato potrebbe dire che se la Repubblica gli garantisse il diritto ad avere un lavoro, egli non avrebbe il bisogno di un lavoro. Ed è per questo del tutto apprezzabile la connessione tra diritti e pedagogia.
Ma il ritorno indietro all’inclusione, propagata dai BES, serve a diffonderne il verbo: tutti diversi, tutti speciali, gli alunni in difficoltà. “Includere” vuol dire non riconoscere la differenza: sono tutti nello stesso sacco. Marchiato BES.

 

Inclusione e integrazione

Il termine “inclusione” è entrato a far parte del linguaggio del nostro sistema educativo adeguandosi al significato che questa parola ha a livello principalmente anglosassone.

Questo termine ha però ingenerato una certa confusione con il termine “integrazione”, di cui in Italia si è iniziato a parlare dal 1977, quando la Legge n. 517 ha abolito le classi differenziali per gli alunni con disabilità.

Spesso, infatti questi due termini vengono utilizzati come sinonimi, quando invece il loro significato è diverso.

Con “inclusion”, infatti, si intende quel processo che porta all’istruzione degli alunni con disabilità nelle classi comuni, intendendo una disabilità che può essere originata anche da motivazioni contestuali ed ambientali.

Se con “integrazione” si intende quel processo costante con cui si vuol ricercare un raccordo tra le diverse abilità e l’insieme (e cioè rappresenta il momento didattico ed educativo peculiare delle istituzioni scolastiche, integrando le competenze di ogni alunno con quelle degli altri, così come indicato dal Decreto Legislativo n. 66 del 13 aprile 2017 “Norme per la promozione dell’inclusione scolastica degli studenti con disabilità, a norma dell’art. 1, commi 180 e 181, lettera c della legge 13 luglio 2015, n. 107”, che indica come modello la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute – ICF dell’Organizzazione mondiale della Sanità), con “inclusione” si intende invece un’estensione del concetto del termine integrazione che coinvolge non soltanto gli alunni con una disabilità certificata, ma tutti coloro che hanno un qualche tipo difficoltà, cioè chi, per motivi diversi e anche temporanei, non rispondono come richiesto dalla programmazione della classe ed hanno bisogno di una forma di aiuto aggiuntivo ma non di un insegnante di sostegno, il quale invece è riservato ai soli alunni che presentano una minorazione fisica, psichica o sensoriale stabilizzata e progressiva.

Un processo, quindi, che può coinvolgere tutti gli alunni e che negli anni ha interessato un numero sempre maggiore di bambini e ragazzi.

Gli alunni che presentano queste difficoltà ma che non sempre sono certificati, vengono indicati come BES (Bisogni Educativi Speciali).

 

I Bisogni Educativi Speciali – BES

Con BES si intendono tutti gli alunni che presentano una richiesta di attenzione speciale, con continuità o per determinati periodi (o per motivi fisici, biologici, fisiologici o anche per motivi psicologici e sociali). Vengono quindi qui inclusi quegli alunni che mostrano difficoltà per svantaggio sociale e culturale, per disturbi specifici di apprendimento (DSA) e/o disturbi evolutivi specifici (DES) e difficoltà derivanti dalla non conoscenza della cultura e della lingua italiana perché appartenenti a culture diverse.

La normativa indica gli strumenti d’intervento atti ad aiutare gli alunni BES partendo dall’individuazione e dalla redazione di un Piano Didattico Personalizzato (PDP) che viene utilizzato come strumento di lavoro dagli insegnanti e che rappresenta anche il documento con cui la famiglia viene informata sulle strategie di intervento utilizzate dalla scuola.

Il PDP ha lo scopo di definire gli interventi, monitorarne l’efficacia, documentare le strategie di intervento più idonee, includere progettazioni didattico-educative e strumenti utili rispetto a compensazioni o dispense.

Nel PDP sono infatti indicati gli strumenti compensativi (ad esempio l’utilizzo della tavola pitagorica, di tavole con formule geometriche, della calcolatrice, del registratore, di computer con programmi di videoscrittura), le misure dispensative (come ad esempio il dispensare l’alunno dalla lettura ad alta voce, dal prendere appunti, dai tempi standard, dal copiare alla lavagna, da un eccessivo carico di compiti, dallo studio mnemonico delle tabelline, dallo studio della lingua straniera in forma scritta) e una didattica inclusiva centrata sull’apprendimento, che può ad esempio essere rappresentata dal “Cooperative Learning” o apprendimento cooperativo, cioè una modalità di apprendimento che si basa sull’interazione all’interno di un gruppo di alunni che collaborano.

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